Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge affronta e propone una riforma del processo del lavoro con l'intenzione di garantire celerità e certezza alla soluzione delle controversie che riguardano i licenziamenti e i trasferimenti, con l'obiettivo di risolvere questioni che attengono al processo previdenziale, in particolare con riferimento agli accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e a controversie in serie. Inoltre, si predispone una riforma complessiva delle tecniche normative di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo sulla conciliazione, sull'arbitrato, sulla formazione di conciliatori e di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie.
      La proposta di legge adotta una prospettiva ambiziosa che si affianca alla Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori (atto Camera n. 104) per ripercorrere la medesima strada seguita con la diade normativa costituita dallo Statuto dei diritti dei lavoratori (legge n. 300 del 1970) e della riforma del processo del lavoro nel 1973 (con la legge n. 533).
      L'articolato si ispira e recepisce larga parte dell'analisi e delle proposte già formulate, durante la XIII legislatura, dalla Commissione per lo studio e la revisione della normativa processuale del lavoro,

 

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presieduta da Raffaele Foglia e, a livello comunitario, riprende i contenuti della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, ha reso più visibile il valore fondamentale della tutela contro ogni licenziamento ingiustificato (articolo 30).
      Al pari degli altri settori della giustizia, per i quali importanti modifiche sono state recentemente introdotte, il contenzioso del lavoro attraversa, non da poco, una crisi determinata essenzialmente dal progressivo allungamento dei tempi di definizione dei processi, crisi ancora più evidente per la peculiarità del rito introdotto dal legislatore del 1973, informato a princìpi di oralità e di celerità.
      L'urgenza del recupero di funzionalità del processo del lavoro suggerisce, pertanto, un intervento normativo con riferimento alle controversie che trattano i momenti più delicati e patologici del rapporto di lavoro. Il bilanciamento degli opposti interessi - del lavoratore alla conservazione del posto, del datore di lavoro all'organizzazione del lavoro - consiglia, nella specie, di ridisegnare la tutela reintegratoria contro il licenziamento ingiustificato nelle forme di un'azione tipica urgente a cognizione sommaria, così da imprimere a siffatte azioni una durata ragionevole.
      La riforma intende garantire celerità al giudizio, mediante una procedura d'urgenza, con la conseguenza di escludere queste controversie dalla procedura preventiva obbligatoria di conciliazione.
      Non si intendono peraltro escludere totalmente queste controversie dalla conciliazione e dall'arbitrato, sia perché è da ritenere che anche le controversie per licenziamento possano utilmente trovare soluzione in sede conciliativa o arbitrale, sia perché non si può dimenticare che, pur restando nell'area dell'accesso volontario alla giustizia «alternativa», esiste già nell'ordinamento una procedura conciliativa e arbitrale applicabile: quella prevista per le sanzioni disciplinari (articolo 7 della legge n. 300 del 1970), che potrebbe essere migliorata e implementata.
      Nella proposta di legge sono, pertanto, collegate l'introduzione di una specifica procedura d'urgenza giudiziale e la promozione della procedura conciliativo-arbitrale prevista per le sanzioni disciplinari, con un collegio che opera presso la direzione provinciale del lavoro o con un collegio espressamente previsto dal contratto collettivo.
      Per quanto riguarda il licenziamento disciplinare (per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo) è ormai indubitabile la sua qualificazione come sanzione rientrante nella tipologia prevista nell'articolo 7 della legge n. 300 del 1970. Questo anche nel settore del lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, ad opera della contrattazione collettiva di comparto. Questo anche sotto il profilo delle conseguenze in caso di mancato rispetto delle garanzie procedimentali poste dal citato articolo 7 (illegittimità e non nullità; con conseguente applicazione della tutela reale o della tutela obbligatoria a seconda del campo di applicazione).
      La scelta è quella di rafforzare il canale costituito dal ricorso al collegio di conciliazione e arbitrato del medesimo articolo 7, escludendo però qualsiasi altra applicazione di procedure di conciliazione o di arbitrato (tranne quelle eventualmente introdotte dalla contrattazione collettiva):

          1) sempre mantenendolo quale alternativa volontaria al ricorso alla giustizia ordinaria;

          2) chiarendo alcuni passaggi interpretativi;

          3) introducendo o migliorando alcuni elementi a carattere promozionale.

      Già nella formulazione vigente del richiamato articolo è rinvenibile il favore dell'ordinamento per la procedura conciliativo-arbitrale, collegandovi vantaggi quali: la perdita di efficacia del provvedimento disciplinare qualora il datore di lavoro non provveda a nominare il proprio rappresentante e, soprattutto, la sospensione della sanzione (sospensione cautelare in caso di licenziamento per giusta

 

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causa), con permanenza di tale effetto anche nel caso in cui il datore di lavoro opti per l'accertamento in via giudiziale. Si consideri che la specialità che già ora è riconosciuta alla disciplina procedimentale dell'articolo 7 consente di separare questa fattispecie dalla regolamentazione generale in materia di conciliazione e arbitrato.
      La procedura di conciliazione e arbitrato, così come prevista dall'articolo 7, con i correttivi in chiave promozionale esaminati, viene affiancata da una speciale procedura d'urgenza, che si estende anche a risolvere alcuni nodi interpretativi in materia di risarcimento del danno e di ripetibilità o meno delle somme percepite dal lavoratore, escludendo l'obbligo di conciliazione preventiva.
      È prevista una procedura d'urgenza nelle vesti di un'azione sommaria, basata su un'ordinanza, reclamabile in appello, affiancata da una misura coercitiva forte che interviene in materia di risarcimento del danno. Passaggio decisivo è quello della irripetibilità delle somme, somme che corrispondono alla retribuzione versata nel periodo intercorso tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma dichiarativa della legittimità del licenziamento.
      La tutela reintegratoria contro il licenziamento ingiustificato è ridisegnata nelle forme di un'azione tipica urgente a cognizione sommaria, così da imprimere a siffatte azioni una durata ragionevole.
      La procedura d'urgenza si applica sia nell'ambito della tutela reale sia in quello della tutela obbligatoria; sia ai datori di lavoro privati sia alle pubbliche amministrazioni. E contemporaneamente si chiarisce la questione del regime da applicare in caso di nullità del licenziamento, con riconduzione di tutte le ipotesi nell'ambito della tutela reale. Attualmente, si tende a ritenere che in alcune ipotesi di licenziamento nullo si applichino i princìpi civilistici ordinari e non, quindi, la tutela reale.
      La procedura d'urgenza si applica anche al recesso del committente nel campo del lavoro economicamente dipendente, così come disciplinato nella proposta di legge recante «Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori» (atto Camera n. 104); essa si applica anche all'accertamento della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro; alle controversie in materia di trasferimenti, di cui all'articolo 2103 del codice civile, e alle controversie individuali in materia di trasferimento d'azienda o di suo ramo, di cui all'articolo 2112 del medesimo codice civile.
      Esce confermata anche per queste ipotesi (termine, trasferimento, licenziamento non disciplinare) l'esclusione dell'obbligo di qualsiasi procedura conciliativa, ma nel contempo senza accesso a quella prevista dall'articolo 7 della legge n. 300 del 1970.
      Il termine per l'impugnazione, a pena di decadenza, è di centoventi giorni. Questo termine viene espressamente previsto anche in caso di nullità del licenziamento.
      La competenza è del tribunale. L'ordinanza diventa irrevocabile in mancanza di reclamo in appello. Successivamente si passa al giudizio di legittimità in Cassazione.
      Elemento qualificante è la predisposizione di una misura coercitiva di carattere pecuniario che preveda il destino delle somme corrisposte o da corrispondere al lavoratore, ad esempio nel periodo che intercorre tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma.
      Altro passaggio decisivo è la previsione che il giudice tratti con priorità tali cause. È evidente però che si deve contemporaneamente passare a individuare strumenti di deflazione del carico lavorativo dei giudici, completando la riforma con quella della conciliazione e dell'arbitrato.
      Nel capo II è previsto un intervento destinato a risolvere alcune questioni che riguardano il processo previdenziale, in particolare con riferimento agli accertamenti sanitari e alle controversie in serie.
      Nel capo III è predisposta una riforma complessiva delle tecniche normative di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo sulla conciliazione, sull'arbitrato, sulla formazione di conciliatori e di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie.
 

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      Nel settore delle controversie di lavoro, la conciliazione e l'arbitrato non hanno mai registrato quella diffusione e adesione auspicabili fin dalla riforma introdotta dal legislatore del 1973, allo scopo di alleggerire il carico di lavoro dei magistrati addetti alla trattazione delle controversie di lavoro e, al contempo, di offrire, in un processo fortemente caratterizzato da una parte debole, strumenti efficaci e veloci di risoluzione delle controversie.
      Siffatta aporia seguita all'intervento riformatore del legislatore del 1973, diventava vera e propria diffidenza ove gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie si misuravano con il contenzioso del lavoro pubblico, nei confronti del quale resisteva, tenacemente, la convinzione di una sorta di incompatibilità tra controversie di competenza del giudice amministrativo e composizione negoziale come alternativa alla tutela giurisdizionale dei diritti del lavoratore.
      La riforma introdotta con i decreti legislativi n. 80 e n. 387 del 1998, e successivamente dal decreto legislativo n. 165 del 2001, preordinata, in primis, a deflazionare e a semplificare l'enorme contenzioso del lavoro, regolamentando il circuito alternativo e parallelo a quello ordinario di giustizia, ha, invece, rilanciato gli istituti della conciliazione e dell'arbitrato, partendo proprio dal settore pubblico, aggiungendo alla conciliazione, relegata a strumento occasionale e marginale dal legislatore del 1973, il predicato dell'obbligatorietà.
      L'esperienza sin qui maturata nel settore pubblico induce a pervenire a un complessivo giudizio di favore verso lo strumento conciliativo, consolidatosi anche nel confronto con le esperienze comparatistiche, specie in ambito comunitario, in cui le alternative dispute resolution (ADR) costituiscono un'esperienza molto diffusa nella giustizia civile.
      Può, invero, affermarsi, senza tema di smentita, che:

          1) un numero percentualmente irrisorio di domande si è riversato dalla sede precontenziosa alla sede giudiziale;

          2) raramente l'ente pubblico diserta la seduta, così consentendo un utile approfondimento dei termini della controversia;

          3) l'eventuale esperimento negativo della conciliazione va probabilmente riconnesso alla peculiarità della questione sostanziale via via controversa e alla complessità delle problematiche organizzative e gestionali sottese alle questioni controverse.

      Tali dati confortanti, unitamente a un'oggettiva riflessione sull'insuccesso del modello vigente per il lavoro privato - per la scarsa impegnatività dello strumento, per l'assoluta carenza di incentivi positivi e negativi, per le parti in lite e per il ceto tecnico-forense, per l'incontrollato aumento del carico di lavoro - hanno indotto a introdurre nella proposta di legge un meccanismo che miri a fare della fase conciliativa una fase precontenziosa, a giudizio formalmente già iniziato.
      Il meccanismo disegnato conserva l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione giacché esso tende a soddisfare l'interesse generale sotto un duplice profilo: evitando, da un lato, che l'aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell'apparato giudiziario, ostacolandone il funzionamento; favorendo, dall'altro, la composizione preventiva della lite e assicurando alle posizioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile attraverso il processo.
      Sulla base delle prime esperienze applicative del nuovo articolo 412-bis codice di procedura civile e alla luce delle più recenti indicazioni della Corte costituzionale, è apparso opportuno esplicitare l'esclusione dell'obbligo di conciliazione, ratione materiae, per le controversie previdenziali (nelle quali gli spazi di disponibilità sono ristretti in considerazione del regime pubblicistico che le caratterizza), per i procedimenti sommari o d'urgenza (per i quali la tutela del diritto azionato è tanto più efficace quanto più è tempestivo l'intervento giudiziale), ivi comprese le

 

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controversie in materia di trasferimenti e di licenziamenti che, ai sensi di quanto previsto nel capo I, sono assoggettate a una procedura sommaria tipica, per le cause relative ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni cosiddette «privatizzate» (per le considerazioni innanzi esposte).
      Con riferimento agli arbitrati si propone di connotare l'istituto in guisa tale da filtrare, in termini selettivi, il ricorso alla giustizia del lavoro al fine di consentire, a quest'ultima, di intervenire nelle controversie di maggiore rango con le dovute professionalità e tempestività, e da costituire una reale attrattiva per la celerità e la stabilità del ricorso all'arbitrato.
      Ma soprattutto si ritiene necessaria una formazione completa e specialistica della figura dell'arbitro (oltre che dei conciliatori), evitando di limitarsi a un semplice trasferimento di sede della soluzione della controversia. L'arbitro non può essere una figura analoga o derivata da quella del giudice e, in ogni caso, anche le figure professionalmente più complete sotto il profilo della conoscenza del dato giuridico vanno formate per i profili tipici che devono essere posseduti da un arbitro.
      È, pertanto, previsto il superamento della riforma introdotta nel 1998, che non si è rivelata efficiente, quanto meno perché si è spesso tradotta in un mero allungamento dei tempi del giudizio.
      L'obiettivo è quello di mantenere ferme:

          1) sia le esigenze di mantenimento di garanzie: vincolo del rispetto delle norme inderogabili di legge e di contratto collettivo, con conseguente impugnabilità del lodo,

          2) sia le esigenze di celerità della soluzione.

      La proposta di legge prevede l'inserimento della conciliazione all'interno del giudizio: la conciliazione è tentata dal giudice o dal conciliatore da questi appositamente designato tra quelli iscritti a un apposito albo, una volta che la controversia sia conosciuta in tutti i suoi risvolti.
      La conservazione della concorrente disciplina arbitrale, espressione dell'autonomia negoziale collettiva, è volta a favorire un sistema integrato dell'arbitrato nelle controversie di lavoro che si avvalga dell'apporto di importanti accordi. Peraltro le divergenze che, nei vari accordi, emergono in ordine all'ambito di impugnabilità dei lodi vengono risolte, con l'articolato proposto, riconducendo a unità il regime delle impugnazioni sicché anche per l'arbitrato previsto dalla contrattazione collettiva si applica il regime di impugnazione introdotto con la novella, id est l'impugnabilità, per qualsiasi vizio, davanti alla corte d'appello.
      L'intervento si sposa con quello già adottato, come opzione promozionale, nella citata proposta di legge recante «Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori», in cui il favore nei confronti della risoluzione della controversia in sede arbitrale si ottiene mediante il riconoscimento di benefìci sugli importi monetari riconosciuti in favore della lavoratrice o del lavoratore.
      Passando più direttamente al dettaglio dell'articolato, nel capo I sono proposti:

          1) aggiustamenti sostanziali funzionali a un più spedito iter processuale;

          2) modifiche di natura procedurale;

          3) interventi di natura ordinamentale.

      La disciplina proposta si applica a tutte le ipotesi di licenziamento, nell'ambito sia della tutela obbligatoria che reale, anche con riferimento alle ipotesi di previo accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto ovvero della legittimità del termine apposto al contratto. L'intervento normativo si estende, inoltre, con opportuni adattamenti, alle controversie in materia di trasferimenti di cui agli articoli 2103 e 2112 del codice civile. L'intervento normativo si estende, altresì, al recesso del committente nei contratti caratterizzati dalla dipendenza economica del prestatore di lavoro.

 

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      Sono stati inclusi nel campo di applicazione della proposta di legge i datori di lavoro pubblico cosiddetti «privatizzati», al fine di assecondare gli intenti legislativi volti alla tendenziale uniformità della disciplina del settore pubblico e di quello privato, che ha suggerito di non differenziare gli strumenti processuali.
      Il procedimento si svolge con una cognizione libera da formalità, in contraddittorio delle parti, e si conclude con la conoscenza tendenzialmente completa delle questioni, di fatto e di diritto, controverse (articolo 2).
      La tipicità dell'azione prevede lo strumento del mutamento del rito, anche in considerazione della peculiare connotazione del termine di impugnativa del licenziamento: il giudice provvederà a disporre la regolarizzazione dell'atto introduttivo nelle forme di cui al comma 3 dell'articolo 2 quando la domanda sia stata proposta irritualmente (se proposta ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice di rito dispone procedersi con forma sommaria, se proposta erroneamente con forma sommaria, dispone la regolarizzazione ai sensi degli stessi articoli). L'onere della prova, con riferimento al numero dei dipendenti occupati in azienda e ai motivi che hanno determinato il provvedimento espulsivo, grava sul datore di lavoro che ha di fatto la conoscenza dei relativi dati (articolo 2, comma 5).
      Elemento qualificante dell'azione sommaria disegnata dal progetto di riforma è senza dubbio l'idoneità dell'ordinanza a divenire irrevocabile in mancanza di reclamo.
      L'azione introdotta è peculiare anche quanto al regime delle impugnazioni:

          1) l'ordinanza emessa dal tribunale, in funzione di giudice del lavoro, è reclamabile alla sezione lavoro della corte d'appello;

          2) la sentenza della corte d'appello è ricorribile in Cassazione (articolo 3).

      A garanzia dell'attuazione effettiva del provvedimento (ordinanza o sentenza) di condanna alla reintegra, è prevista una forte misura coercitiva di carattere pecuniario, individuata sul modello francese delle astreinte, connotata dalla irripetibilità delle somme (corrisposte o da corrispondere) in caso di successiva sentenza (di primo grado o d'appello) dichiarativa della legittimità del licenziamento. Per evitare ingiustificati arricchimenti del lavoratore, in caso di successiva sentenza dichiarativa della legittimità del licenziamento, il lavoratore può trattenere solo una somma corrispondente alla retribuzione per il periodo intercorso tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma, mentre le ulteriori somme percepite o percipiende sono devolute a un fondo speciale. La riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del trasferimento comporta, invece, un obbligo di restituzione delle somme già percepite (articolo 4).
      Per attuare l'astreinte è data al lavoratore la possibilità di accedere alla procedura cautelare di cui all'articolo 669-sexies e seguenti del codice di procedura civile, con la quale richiedere al giudice, dell'ordinanza o della sentenza di reintegra, la liquidazione delle somme dovute per i giorni di ritardo (articolo 4, comma 2).
      La relativa ordinanza è immediatamente eseguibile e reclamabile o al collegio del tribunale o al collegio di appello, a seconda del provvedimento reclamato.
      La caratteristica urgente e sommaria del procedimento porta alla eliminazione del tentativo di conciliazione e della relativa procedura extra giudiziale, essendo questa in contrasto con i tempi ristretti della novella (articolo 6).
      La modifica della normativa sostanziale concerne esclusivamente la decadenza, nel quando e nel quomodo, dell'impugnativa del licenziamento: il termine, innalzato a centoventi giorni, diventa anche termine di decadenza dall'azione giudiziale (articolo 7). Il medesimo termine, salvo diversa indicazione, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento o del recesso e agli altri casi disciplinati nel medesimo capo (articolo 7, commi 2 e 3).

 

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      Sul piano ordinamentale si prevede, per rafforzare la celerità dell'azione, che il giudice tratti con priorità tali cause (articolo 8).
      Si intende risolvere anche la controversa questione della riconduzione del licenziamento nullo per causa di maternità o di paternità nell'ambito del licenziamento discriminatorio (articolo 9).
      La sottrazione dall'obbligo di conciliazione non impedisce, anzi richiede, una valorizzazione della volontarietà del ricorso alla procedura di conciliazione e arbitrato già prevista dall'articolo 7 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, legge n. 300 del 1970 (articolo 10).
      Rispetto alla situazione data, si interviene:

          1) vincolando con più determinazione il datore di lavoro alla sospensione della sanzione e, quindi, a non eseguire la sanzione del licenziamento prima dei venti giorni di tempo a disposizione del lavoratore per l'impugnazione in sede di collegio di conciliazione e arbitrato. È questo l'effetto che rende conveniente il ricorso a tale procedura;

          2) prevedendo vincoli di attività, se non un vero e proprio termine per la pronuncia da parte del collegio, e le relative conseguenze;

          3) precisando il regime di impugnazione del lodo, vincolando al rispetto delle disposizioni inderogabili di legge e di contratto collettivo, oltre ai vizi del consenso, incapacità e vizi di eccesso di mandato;

          4) intervenendo sul costo economico della costituzione del collegio e sulla riduzione degli oneri dovuti sulle somme acquisite dal lavoratore.

      Il capo I si chiude con la previsione della istituzione di un fondo destinato a partecipare, anche parzialmente, agli oneri sostenuti per effetto di decisioni che modificano provvedimenti che hanno riconosciuto la legittimità del licenziamento.
      Il capo II prevede l'inserimento nel codice di procedura civile di due nuovi articoli, rispettivamente dedicati a fornire certezza e celerità nell'ambito degli accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e assistenziali obbligatorie e alle cosiddette «controversie in serie o seriali» (articoli 443-bis e 443-ter del codice di procedura civile).
      Il capo III adotta, per quanto riguarda la conciliazione, una soluzione che contempla:

          1) la revisione dell'obbligo del tentativo di conciliazione, da cui sono escluse le controversie previdenziali, le controversie che ricevono trattazione sommaria o d'urgenza, le controversie nell'ambito del lavoro pubblico (articolo 410, secondo comma, del codice di procedura civile);

          2) che la fase conciliativa è una fase precontenziosa a giudizio già iniziato (conciliazione endogiudiziale);

          3) che la difesa tecnica è coinvolta nella fase precontenziosa;

          4) che l'ingiustificata assenza del ricorrente o di entrambe le parti all'udienza fissata per la conciliazione comporta l'estinzione del processo, mentre l'assenza della parte convenuta può dare luogo all'emanazione di un'ordinanza provvisoria di pagamento totale o parziale delle somme domandate o a provvedimenti anticipatori della decisione di merito (articolo 412, primo comma, del codice di procedura civile);

          5) che la conciliazione è tentata dal giudice o dal conciliatore appositamente designato tra quelli iscritti a un apposito albo;

          6) che se la conciliazione è raggiunta, il relativo processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo con decreto del giudice (articolo 411, terzo comma, del codice di procedura civile);

          7) che se la conciliazione non riesce viene redatto verbale con l'indicazione succinta delle ipotesi di soluzione della controversia allo stato degli atti (articolo 412, quarto comma, del codice di procedura civile);

 

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          8) che in qualunque fase della conciliazione, ovvero in caso di esito negativo della conciliazione, le parti possono decidere di affidare allo stesso conciliatore la decisione di risolvere in via arbitrale le controversie.

      La proposta di legge si fonda, quanto alla disciplina dell'arbitrato, sui seguenti princìpi base:

          1) la possibilità di affidare il mandato in via arbitrale allo stesso conciliatore in ogni fase del tentativo di conciliazione (articolo 412-bis, primo comma, del codice di procedura civile);

          2) la possibilità di ricorso all'arbitrato dopo il fallimento del tentativo di conciliazione;

          3) la necessità che la richiesta di deferimento ad arbitri risulti da atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine entro il quale l'arbitro dovrà pronunciarsi e i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti all'arbitro (articolo 412-bis, secondo comma, del codice di procedura civile);

          4) l'obbligo per l'arbitro del rispetto delle norme inderogabili di legge e del contratto collettivo (articolo 412-bis, terzo comma, del codice di procedura civile);

          5) l'impugnabilità del lodo, per qualsiasi vizio, davanti alla corte d'appello (articolo 412-ter, primo comma, del codice di procedura civile);

          6) l'esecutività del lodo nonostante l'impugnazione (articolo 412-ter, secondo comma, del codice di procedura civile);

          7) il mantenimento della concorrente disciplina arbitrale eventualmente prevista da accordi o da contratti collettivi (articolo 412-quater del codice di procedura civile).

      Va, inoltre, rimarcato che l'autorevolezza del conciliatore deriverà dalla sua nomina, da parte del giudice, attingendo a un albo dei conciliatori esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal presidente del tribunale (articolo 21). Si tratta di una disciplina transitoria. L'iscrizione definitiva avverrà solo dopo il primo anno di attuazione della legge e dopo la frequenza ad appositi programmi di formazione professionale per la preparazione allo svolgimento della funzione di conciliatore e di arbitro (articolo 21, comma 2).
      Quanto alla gratuità, o meno, dell'operato del conciliatore, è prevista la indennizzabilità.
      La norma pertanto, non è senza oneri per lo Stato, essendo l'importo dell'indennità per il conciliatore fissato in 100 euro, qualunque sia l'esito del tentativo di conciliazione, indennità elevata a 150 euro, ove il tentativo si concluda con la conciliazione, e ridotta a 75 euro ove il tentativo non possa essere espletato per mancata presentazione delle parti o del convenuto (articolo 22).

 

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